Ovvero Cristoforo Colombo e la canoa.
Attraverso lo spagnolo di Cristoforo Colombo arriva a noi la parola canoa (las canoas), proveniente anche questa dalla lingua taino. E documentata per la prima volta in italiano in una traduzione in versi della lettera di Colombo pubblicata a Roma già nel 1493.

Da un’isola a l’altra questi vanno
con certe barche che in quest’isol’è,
le qual’ d’un legnio solo fatte stanno,
e son chiamate chanoè;
son lunghe e strecte, e par quasi volanno
andare a chiunche messo drento ci è,
ben che siano grossamente lavorate
(con sassi e legni e ossi son cavate).
Il viaggiatore veneziano Angelo Trevisan le chiama “canoè, over zopoli”, paragonandole alle barche a fondo piatto (zopoli, appunto) che circolavano in laguna. Mentre Antonio Pigafetta, accompagnatore di Magellano, associa l’immagine delle canoe e dei “trenta e quaranta uomini” che nudi “vogano con pale come da forno” a quella della palude Stigia descritta da Dante nel suo inferno. La prima forma in cui la parola si trova usata in italiano è chanoè, sia al plurale sia al singolare. “Presero una canoè della isola”, scrive Amerigo Vespucci nella sua Lettera delle isole nuovamente trovate. Vespucci riconduceva le nuove scoperte non più alle Indie, ma appunto a un Nuovo mondo…
Dal libro di Gianfranco Falena “Il linguaggio del caos. Studi sul plurilinguismo rinascimentale”. Torino, Bollati Boringhieri, 1991, ripreso da Giuseppe Antonelli nel libro “Il museo della lingua italiana”, Milano, Mondadori, 2018